I primi tre capitoli de La mischia (opera prima di Valentina Maini, edita per Bollati Boringhieri nel 2020) sono un’esperienza di lettura destabilizzante. Il racconto della rottura della famiglia Moraza è narrato attraverso gli occhi dei due gemelli, Gorane e Jokin, e dei genitori che si presentano di fatto come un’unica entità. Gorane e Jokin sono cresciuti in una famiglia di terroristi baschi dell’ETA e la libertà che hanno loro dato i genitori si trasforma per i due gemelli in una gabbia da cui fuggire: Jokin fugge a Parigi, Gorane nei suoi tormenti interiori.
La seconda parte del romanzo cerca, in due movimenti, di rimettere insieme i cocci delle vite lacerate dei due gemelli che cercano di ricucire il loro legame per ritrovare anche sé stessi. Gorane scappa a Parigi, mentre Jokin è costretto a ritornare nei Paesi Baschi. Le vite dei due gemelli sembrano di fatto destinate a non incrociarsi mai, eppure allo stesso tempo appaiono sempre più vicine, soprattutto grazie alla figura di Germana.
Ed è proprio Germana che, nella terza e ultima parte del romanzo, riesce a risolvere la rottura iniziale: è lei la colla che rimette assieme i cocci.
Ma solo il finale, doloroso e inevitabile, permetterà ai due gemelli di ritrovarsi.
Ammetto di aver iniziato a leggere “La mischia” con la mia solita diffidenza verso gli scrittori contemporanei, ma la storia e soprattutto il modo in cui è raccontata – uno stile unico, efficace e mai banale – mi hanno travolto e coinvolto. Spero di poter leggere altri libri di Valentina Maini in futuro.