Nel corso del Ventennio si compie la crisi dell’ideale del mondo borghese, ormai caratterizzato da immobilità e da una continua finzione che nel romanzo di Moravia è ben rappresentata dai personaggi della madre e di Leo. Alla loro capacità di adattarsi a un mondo ormai in declino, si contrappone l’angoscia esistenziale dei due giovani protagonisti che trova sfoghi antitetici, ma ugualmente inefficaci.
Carla percorre la via della distruzione e decide di concedersi a Leo, lo storico amante della madre. “Anche questa ignobile coincidenza, questa sua rivalità con la madre le piaceva; tutto doveva essere impuro, sudicio, basso, non doveva esserci né amore né simpatia, ma solamente un senso cupo di rovina”.
Michele, invece, trasforma la propria insofferenza in una totale indifferenza nei confronti di un mondo in cui non riesce più a riconoscersi. “Invece egli non era così; schermo bianco e piatto, sulla sua indifferenza, i dolori e le gioie passavano come ombre senza lasciare traccia e, di riflesso, come se questa sua inconsistenza si comunicasse anche la suo mondo esterno, tutto intorno a lui era senza peso, senza valore, effimero come un giuoco di ombre e di luci […]”.
Il romanzo si struttura come una tragedia caratterizzata, secondo i canoni aristotelici, l’unità d’azione e di tempo. Nell’arco di due giorni tutto si decide e tutto accade, ma in realtà nulla cambia.