Cosa accomuna un professore emerito di filologia classica in pensione e un gruppo di profughi africani accampati nella fredda Oranienplatz di Berlino?
La necessità di trovare un’attività con cui occupare un tempo vuoto e privo di senso. O la ricerca del senso di una vita pazza.
“Life is crazy”.
Richard trasporta la sua passione per l’antichità in un mondo moderno e in continua evoluzione, stravolge la sua prospettiva e cerca di comprendere il punto di vista di chi ha perso tutto e ancora cerca di sperare nel futuro.
Richard ascolta le storie di questi uomini, sopravvissuti a sofferenze e atrocità inimmaginabili, capisce di avere molto da imparare da loro e decide di aiutali.
Questi ragazzi scampati alla traversata del Mediterraneo rischiano infatti di affogare in un mare ancor più profondo, quello della burocrazia tedesca – e aggiungerei europea – che vede i profughi come “casi” e non come esseri umani in grado di pensare e di sognare.
Omero e Tacito ci ricordano rispettivamente l’attenzione che Greci e Germani nutrivano nei confronti degli ospiti. La civiltà europea, da sempre orgogliosa della sue radici, ha però deciso di dimenticarsi della sacralità del concetto di ospitalità.
Dove va un uomo quando non sa dove andare?
J. Erpenbeck, Voci del verbo andare